Alessandro
Dietro al documentario: Beyoncé intervistata da HBO
16 Febbraio 2013
in News

– Che cosa ti ha portato a decidere di realizzare un documentario?

Beyoncé: Ho deciso di realizzarne uno per una serie di ragioni. Per prima cosa, volevo fermare tutto questo brusio. Viviamo in una cultura ossessionata dalla celebrità dove c’è molta informazione che circola e si parla molto, ma se ci si fa ben caso, si nota che non sono io a raccontare. Creare un documentario è stata un’opportunità per dimostrare chi sia io davvero e che cosa davvero mi interessi.

Ed è stata per me una nuova esperienza e un’occasione per esaminare i miei pensieri e le mie emozioni in una nuova maniera, per analizzare come io veda il mondo e la gente attorno a me, specialmente durante un periodo in cui il mio spirito è stato messo alla prova. Stavo aprendo un’impresa, lanciando il mio disco e mi stavo tenendo dentro un grande segreto, ed è stato un modo per mantenere la mia integrità mentale, per tenere sotto controllo il mio mondo. Ho imparato così tanto su di me realizzando questo film, ed ecco ciò che per me è l’arte, un’esplorazione di sé.

– Come ti sei approcciata al processo creativo? Avevi già un’idea di come avresti voluto che fosse la storia, o hai scoperto delle tematiche e delle linee narrative durante il processo?

B: Non credo che si possa trovare un regista che ti dica di aver saputo fin dall’inizio come sarebbe stato il film, una volta completato. A differenza dei film di fantasia, i documentari vengono propriamente creati durante il montaggio. All’inizio sapevo solo di voler condividere il mio punto di vista per quanto riguarda la vita… Non avrei rilasciato un film solo a fine di auto-documentazione, volevo che esprimesse ciò che credo che sia vero della vita. Non a caso, ogni cosa avviene per un motivo e dobbiamo essere consci dei piccoli indizi della vita e di come si uniscano i puntini, o altrimenti perdiamo l’occasione.

– Ci sono state delle sorprese che sono successe durante le riprese che hanno portato la storia a prendere una piega diversa rispetto a come l’avevi pianificata?

B: Credo che il cambiamento più grande sia avvenuto quando ho deciso di introdurre i miei video-diari personali. Quando li ho registrati non pensavo che avrebbero visto la luce del sole. Non mi era nemmeno passato per la testa. Un giorno ho chiesto che questi video venissero messi nel mio archivio. I miei condirettori mi hanno chiesto se considerassi di condividere questi video e di usarli nel film. Non ero sicura di come sarebbero risultati nel contesto, ma alla fine sono stati il modo migliore di mettere tutto in prospettiva e di mantenermi onesta. I momenti di vita quotidiana, i pensieri e i sentimenti che provavo quando non ero sul palco, mentre ero da sola in camera, senza telecamere, libera di esprimermi, erano parte di me e della mia storia.

– Da quali film o registi sei stata influenzata? Come hai lavorato con il tuo direttore di fotografia per determinare il look e l’atmosfera del film?

B: Mi è piaciuto molto il film su Anna Wintour di R.J. Cutler, poi un altro documentario che ho amato è stato ‘The Eye Has To Travel’ (titolo italiano: L’imperatrice della moda), che riguarda l’incredibile Diana Vreeland, che ha avuto un impatto enorme sulla moda e sulle donne nell’ultimo secolo.

Lavorare col mio direttore di fotografia è stato utile per stabilire un punto di vista. Ed [Burke] mi ha ripresa per circa 8 anni, e quei filmati mostrano tutti gli alti e i bassi del mio percorso. I filmati che ho registrato durante gli anni mostrano il mio punto di vista. Quindi, trovare quell’equilibrio fra il mio punto di vista interno ed il suo, esterno, è stata una sfida per la realizzazione del progetto. Credo che il processo sia riuscito con successo e che il montaggio abbia bilanciato i due punti di vista in un unica esperienza coesiva.

– Per quanto tempo hai eseguito le riprese e con quanti filmati stavi lavorando quando hai iniziato l’editing?

B: Nel 2005 ho deciso di cominciare a documentare il mio lavoro perché volevo assicurarmi che rappresentasse le mie intenzioni. È stata un’ottima decisione, ma questo è risultato avere 7’000 ore circa di filmati quando abbiamo iniziato a montare il film!

– Qual è stata la sfida maggiore che l’editing ti ha portato?

B: Tutto il processo è stato molto avvincente perché avevamo diversi tipi di filmati che normalmente non verrebbero inseriti in un unico film. Avevamo i filmati che documentavano la realizzazione del mio album 4, i miei filmati personali, quelli dell’archivio, e poi quelli delle serate al Revel, ad Atlantic City. Raccontare una storia coesiva con tutti quegli elementi non è un compito facile. Alla fine siamo finiti ad usare i miei video-diari per completare ciò che era nascosto agli occhi delle altre telecamere, e abbiamo usato le canzoni delle serate come elementi narrativi per intrecciare bene i filmati. È stato molto interessante.

– Quali altre sfide hai incontrato nel realizzare un documentario su te stessa?

B: Credo che la sfida principale sia stata essere obiettiva. Sono diventata un personaggio nel film, e mi sono giudicata costantemente. Alle volte il mio istinto mi avrebbe detto di rimuovere i filmati in cui mi mostravo debole o vulnerabile, ma non volevo poi che tutto questo risultasse un’insieme di sciocchezze. Era importante mantenerlo reale. Quello è stato il mio obiettivo iniziale, a cui mi sono dovuta attenere. Ho fatto in modo che i miei condirettori mi dicessero quando commettevo qualche errore, per mantenere il film veritiero e obiettivo.

– Se ti stessi intervistando, cosa ti chiederesti?

B: Mi chiederei: “Eri fuori di mente?”. Ma, davvero, espormi così tanto è mi mette un po’ a disagio. Qualcuno direbbe: “Perché l’hai fatto? Tutto questo potrebbe solo danneggiarti!”

– Con tutta l’attenzione mediatica che ti circonda, ti preoccupava condividere questa parte intima della tua vita?

B: È stata molto dura per me esporre le mie emozioni più profonde pubblicamente. Sono sempre stata molto protettiva quando si trattava della mia vita privata, quindi è stata una sfida condividerle con il mondo. Ma volevo dire qualcosa a proposito della mia prospettiva di vita, e spero che attraverso il film passi nella maniera in cui è intesa, in maniera naturale, artistica e sincera.

– In che modo fare un film è come fare un album? Ti permette di esprimerti in quanto artista?

B: Un film ha una tela molto ampia, rappresenta un’intera realtà. La voce è molto più intima e misteriosa perché espone elementi di quella realtà. In un filmato, il suono ha il ruolo di costituente dell’esperienza, e oltre a ciò si ha la cinematografia, il montaggio, il dramma, la narrativa… Si ha vita!

È difficile comparare le due forme. Lo studio di registrazione è dove mi sento più a mio agio; il film si trova al di fuori della mia zona comoda, ma questo è esattamente il motivo per cui fare questo film sia stata un’esperienza incredibile per me.

– Ti piacerebbe farne un altro?

B: Il film mi ha aperto così tanto a nuove opportunità per esprimere i miei pensieri e le mie emozioni. Fare film mi tiene coi piedi per terra e mi emoziona molto, mi ha davvero esposto a nuovi orizzonti ed ha rinvigorito il mio appetito artistico.

– Qual è la prossima sfida che affronterai?

B: Credo molto nell’elemento sorpresa, quindi perché non far rimanere alcune cose un mistero?

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